Giovedì e venerdì giornata di lavoro nella sede della Cia dell’Umbria con partner provenienti da Turchia, Spagna, Polonia, Romania e Ungheria. Venerdì incontro del presidente della Camera di commercio di Çanakkale (Turchia), Salih Yildiz, con il presidente della Camera di commercio di Perugia, Giorgio Mencaroni,
Giovedì 5 e venerdì 6 dicembre avrà luogo a Perugia, presso la sede regionale della Cia dell’Umbria, il meeting iniziale del progetto AGRI-YOUTH, dedicato alla formazione dei giovani imprenditori e delle imprenditrici e basato sulle tendenze maggiormente innovative nelle imprese agricole. Il progetto è nato dall’incontro organizzato nel settembre 2012 in Turchia, presso la Camera di Commercio di Çanakkale - importante centro agricolo e commerciale sullo stretto dei Dardanelli a pochi chilometri dal sito archeologico di Troia - durante il quale era stato richiesto alla Cia dell’Umbria di fornire le basi per una proposta progettuale particolarmente rivolta alle imprese agricole giovanili. Il progetto europeo, approvato dall’agenzia nazionale turca Leonardo da Vinci, coinvolge 8 partner di 6 Paesi: oltre alla Cia dell’Umbria, la Camera di Commercio e l’Università di Çanakkale e l’Università di Balikesir (Turchia), l’associazione agricola ASAJA Granada (Spagna), la fondazione Arid Lacjum di Cracovia (Polonia), il CFPIP-Centro di formazione di Timisoara (Romania) e la fondazione Tudas (Ungheria). Il presidente della Camera di Commercio di Çanakkale, Salih Yildiz, accompagnato dal presidente della Cia dell’Umbria Domenico Brugnoni, si recherà venerdì 6 dicembre, alle ore 9, presso la Camera di Commercio di Perugia per una visita di cortesia al suo omologo presidente Giorgio Mencaroni. Il progetto AGRI-YOUTH avrà una durata di 24 mesi con un budget di circa 390mila euro di cui circa 290mila finanziati dal Programma Europeo di Formazione Permanente, Sottoprogramma Leonardo da Vinci;si basa sul trasferimento di innovazione dal progetto pilota “Naturaliter”- realizzato anni fa dalla Cia dell’Umbria - per la valorizzazione a scopo formativo di esperienze significative di imprese giovanili e femminili. Il sistema di formazione che verrà realizzato, disponibile su piattaforma web multilingua, sarà fortemente interattivo e facilmente utilizzabile anche per la formazione a distanza. I moduli formativi online serviranno da base per lo sviluppo delle competenze e delle buone pratiche per la gestione di imprese agricole avanzate, multifunzionali ed orientate alle produzioni agricole ed agro-alimentari di qualità, competitive e sostenibili, e ad attività non food, come ad esempio i servizi agrituristici, le attività didattiche e sociali in fattoria e l’uso delle risorse energetiche rinnovabili a biomasse, solare termico e fotovoltaico. Il livello di competenza più avanzato realizzato nel quadro del nuovo sistema formativo metterà giovani imprenditori ed imprenditrici in grado di elaborare propri business plan per lo sviluppo della loro creatività di impresa.
Perugia, 4 dicembre 2013
Lupi, ancora allevamenti attaccati
Colpite pesantemente aziende zootecniche anche in comune di Pietralunga. Brugnoni: “La situazione è ormai diventata insopportabile. Subito indennizzi e misure di prevenzione per evitare la chiusura delle imprese interessate”.
Non c’è pace negli allevamenti dell’Umbria. Alle croniche difficoltà di mercato che da tempo li affliggono e al freddo polare portato in questi giorni da “Attila” si è aggiunto un nuovo flagello, il lupo, che ha preso l’abitudine di aggredire greggi e allevamenti delle aziende zootecniche delle aree montane divorando capi ovini e bovini. Tra i comuni più colpiti, oltre a San Venanzo in provincia di Terni – dove, in località San Vito in Monte, da mesi i lupi stanno facendo incetta di bestiame –, c’è Pietralunga nel cui territorio, ai confini con Città di Castello, si è registrata negli ultimi tempi una pericolosa escalation delle aggressioni, con danni enormi in diverse aziende che allevano allo stato semibrado pregiati bovini di razza Chianina. l pericolosi selvatici sono venuti così a fare buona compagnia ai cinghiali che da anni imperversano incontrastati nella zona. “Il risultato di tale situazione - ha dichiarato il presidente della Cia dell’Umbria Domenico Brugnoni - è che sono enormi i danni economici arrecati agli agricoltori ed agli allevatori la cui proverbiale pazienza ormai sta per finire; l’indennizzo immediato alle aziende interessate è assolutamente urgente e necessario ma ormai non più sufficiente ad affrontare con serietà il problema cronico dei danni da selvatici. Occorre un piano straordinario di contenimento, ancor più essenziale quando si ha a che fare con specie protette come nel caso dei lupi.” Secondo la Cia dell’Umbria, ad aggravare la situazione nel comune di Pietralunga c’è anche lo stato di abbandono in cui versa la locale azienda faunistico-venatoria di proprietà pubblica. Tale struttura si estende per 1.600 ettari e, da quando non è più gestita, si è trasformata in un pericoloso ricettacolo di selvatici di ogni tipo e in particolare di lupi che vi stazionano indisturbati sostentandosi costantemente con le prelibate carni delle Chianine al pascolo nelle aziende confinanti. La Cia sollecita, pertanto, la Regione dell’Umbria a farsi carico dello stato di grave disagio e di pericolosità in cui versano molti allevamenti regionali nelle aree montane avviando un confronto con gli enti pubblici e con gli imprenditori interessati per definire un progetto finalizzato ad una gestione imprenditoriale e sostenibile delle aree interne e marginali così come delle aziende faunistico-venatorie e dei parchi e aree protette dell’Umbria.
Perugia, 28 novembre 2013
La Cia in occasione del VI Forum vitivinicolo nazionale, oggi a Orvieto: per far fronte al costante calo dei consumi interni (-60% in 40 anni), il settore deve spingere ancora di più sui mercati stranieri. Puntando sui processi aggregativi che “superano” il problema strutturale delle piccole dimensioni aziendali e danno dal 20 al 30% in più di competitività all’estero. Gli strumenti, centrali nella nuova Pac, sono le Op e le Oi, senza dimenticare il ruolo delle reti d’impresa e dei Consorzi di tutela. Solo “facendo sistema” si può avere maggiore forza contrattuale e consolidare “l’appeal” delle bottiglie tricolori su piazze sempre più concorrenziali e globalizzate.
Il vino italiano rappresenta una delle poche eccezioni positive di fronte alla crisi globale: “vale” quasi 14 miliardi di euro l’anno con l’indotto, mantiene il primato tra i Paesi esportatori con una quota del 22 per cento del mercato mondiale e le vendite oltreconfine di bottiglie tricolori a fine 2013 potrebbero toccare per la prima volta i 5 miliardi (+9 per cento), stabilendo un nuovo record storico. Eppure il settore, che già ora si candida a fare la differenza nel lento processo di ripresa dell’Italia, può crescere ancora di più. Lavorando su una maggiore aggregazione della filiera. E’ quanto emerge dal VI Forum vitivinicolo nazionale, “Più forte la filiera, più forti gli agricoltori”, organizzato dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori oggi a Orvieto.Da un’analisi confederale, viene fuori ancora una volta, come dato strutturale che si replica in tutti i comparti -sottolinea la Cia- che la dimensione media inferiore rispetto agli standard europei dell’impresa agricola italiana (7,9 ettari contro 12,6) è un “handicap” rilevante, soprattutto in una fase in cui i consumi nazionali stagnano e i mercati stranieri costituiscono l’unica chance per aumentare i volumi di vendita. Questo è ancora più vero per il pianeta del vino, per due motivi: da una parte, i gruppi italiani a misura globale oggi sono per lo più cooperativi, mentre la maggior parte delle aziende produttrici non sono dimensionate per sostenere efficacemente i processi di internazionalizzazione; dall’altra il settore ha la necessità di spingere ancora di più l’acceleratore sull’export, visto che gli acquisti domestici continuano a segnare il passo. In meno di 40 anni si è perso oltre il 60 per cento del consumo interno e lo stesso 2013 chiuderà i battenti con il segno meno: nei primi nove mesi dell’anno le vendite di vino nella Gdo sono già scese del 6 per cento in volume e, continuando così, l’anno chiuderà sotto i 40 litri pro capite (erano 110 litri a persona negli anni Settanta).E’ chiaro quindi che, con questa situazione del mercato italiano, bisogna fare uno sforzo aggiuntivo sul fronte delle esportazioni di vino, coinvolgendo anche tutte quelle migliaia di aziende che adesso non riescono ad arrivare oltreconfine, o lo fanno solo marginalmente, perché con la loro “taglia” non hanno la forza per agganciare i mercati stranieri, per investire in marchi, forza vendita e reti di distribuzione. Ecco perché bisogna costruire una maggiore forza contrattuale e “fare sistema”: secondo i dati della Cia, già oggi la quota di imprese che esprimono un miglioramento della propria competitività all’estero grazie a processi aggregativi di filiera va dal 20 per cento nel caso delle micro imprese a oltre il 30 per cento nel caso delle medio-grandi.Per questo è doveroso spingere verso l’aggregazione tra le imprese, promuovendo allo stesso tempo l’integrazione delle filiere per arrivare a ottenere equilibri equi e responsabili tra agricoltori, trasformatori e distributori -evidenzia la Cia-. Solo sfruttando pienamente tutti gli strumenti a disposizione, dalle Op (Organizzazioni di produttori) alle Oi (Organizzazioni interprofessionali), dalle reti d’impresa ai Consorzi di tutela, ci si può confrontare con maggiore forza sui mercati stranieri che sono sempre più concorrenziali, con 40 gruppi vitivinicoli che oggi controllano quasi il 40 per cento del fatturato globale.Insomma, è l’aggregazione che crea maggiore valore aggiunto lungo tutto la filiera -puntualizza la Cia durante il convegno-. Vuol dire, per esempio, semplificare e velocizzare logistica, costi e burocrazia, offrire etichette di qualità a prezzi competitivi senza subire “ricatti” dai buyer, accedere e ampliare la promozione e il marketing. E soprattutto significa fare massa critica per rafforzare la presenza all’estero non solo delle Doc, Docg e Igt, ma anche di tutto quel patrimonio di varietà autoctone finora non valorizzate. Gli strumenti sono tanti, e la riforma della Pac dà loro una nuova centralità che non può essere sprecata. Innanzitutto ci sono le Op, il cui ruolo è fondamentale per accelerare i processi di aggregazione della fase produttiva, rendendo sempre più protagonisti i vitivinicoltori. Solo in questo modo è possibile superare i limiti del sistema agroalimentare italiano, dalle piccole dimensioni fino all’elevata dispersione territoriale. Ovviamente le Op non vogliono essere alternative alle coop, ma possono essere un ulteriore strumento in sinergia con il sistema cooperativo.Un altro strumento importante è sicuramente quello delle reti d’impresa (anche nella forma di ATI) che, oltre a migliorare la redditività, consentono un più agevole accesso al credito e migliorano la capacità strategica e di relazione grazie alle maggiori risorse messe a sistema -aggiunge la Cia-. Lo stesso vale per le Oi, luogo della programmazione contrattualizzata del prodotto in ogni filiera: da un lato hanno il compito di regolare produzione e caratteristiche qualitative, dall’altro migliorano la trasparenza e forniscono indicazioni sulla formazione del prezzo, compreso nelle relazioni con la Gdo. Nel settore vitivinicolo, per esempio, si può pensare alla strutturazione di più organismi a livello territoriale e/o alla formalizzazione dei luoghi dove si definiscono accordi quadro.Infine, ci sono i Consorzi di tutela, che restano il fulcro organizzativo delle strategie di qualità regolamentate legate all’origine e alla tipicità dei prodotti, svolgendo funzioni primarie come la gestione del disciplinare, la vigilanza sull’uso del marchio, la promozione e la programmazione. Ma oggi -emerge dal convegno- occorre un cambio di rotta e un salto di qualità, risolvendo il problema urgente della rappresentatività dei Consorzi. Bisogna, cioè, assicurare la partecipazione effettiva di tutte le componenti imprenditoriali; rivedere i pesi tra aziende utilizzatrici del marchio, componenti effettive della filiera e strutture di servizio; far passare il principio che è il prodotto che sostiene la maggior parte dei costi.Solo consolidando le diverse forme di collaborazione della filiera si moltiplica davvero il valore del nostro vino, anche all’estero, dove l’appeal delle nostre bottiglie è già evidente nei numeri, ma resta suscettibile di forte crescita. Puntare sull’agricoltura, sulla terra, sui prodotti d’eccellenza come il vino, può farci uscire dalla crisi. Ma per tornare sulla via dello sviluppo -conclude la Cia- la nostra vera forza è stare insieme.
Orvieto, 21 novembre 2013